ROBERTA PANCERA
Nata a Brescia nel 1971, vive e lavora a Pavone del Mella (Bs).
Dopo il diploma conseguito al Liceo Artistico 'B. Bembo' di Cremona, prosegue gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano conseguendo la laurea nel 1993. L'anno successivo si aggiudica una Borsa di studio estiva promossa dall'Accademia d'Ungheria di Roma a Eger in Ungheria, sul tema'Monument living houses' .
Negli anni 2004/2005 è stata allieva del Maestro Incisore Vladimiro Elvieri e da questo incontro sperimenta l'uso di nuove tecniche e nuovi materiali. Nascono lavori d'incisione nei quali prediligerà l'utilizzo della puntasecca su lastra di plexiglass.
Spaziando tra le diverse tecniche pittoriche, nel corso degli anni è stata chiamata a realizzare opere murali in spazi pubblici e privati, eseguiti con la tecnica ad affresco e a graffito, nei comuni di Ragoli (TN), Strembo (TN), Pinzolo (TN), Mortaso (TN), Campi di Riva del Garda (TN), Manerbio (BS), Pavone del Mella (BS), S.Gervasio Bresciano (BS), Bassano Bresciano (BS), Sommo (PV).
Dagli anni '90 ad oggi ha partecipato a numerose esposizioni collettive, a biennali d'incisione e a diversi concorsi in Italia ed all'estero, aggiudicandosi premi e segnalazioni per le sue opere, oltre ad aver fatto diverse mostre personali sul territorio nazionale.
Attualmente concilia il lavoro d'artista con l'insegnamento di Arte e Immagine presso l'Istituto Comprensivo di Pralboino (Bs).
Vladimiro Elvieri 'Maestro Incisore
Per secoli, il linguaggio dell'Incisione ha costituito la base per ogni sviluppo artistico, ha accompagnato le vicende storiche, e spesso anticipato temi e contenuti, grazie alla sua capacità di diffusione nei più ampi strati della popolazione. Parimenti, anche la ricerca tecnica si è evoluta nei secoli, e dopo la prima stagione della xilografia su legno, si è giunti, con l'invenzione del torchio calcografico, al periodo d'oro della tecnica a bulino, dalla seconda metà del Quattrocento alla metà del secolo successivo, passando poi alla tecnica dell'acquaforte, e cioè alla pratica dell'acidatura, a tutt'oggi la più diffusa tra gli incisori, e ad altri metodi calcografici diretti e indiretti, che hanno ampliato le possibilità espressive del mezzo incisorio, approdando, nel XX secolo, a una straordinaria fioritura di nuove esperienze, condotte soprattutto nei grandi atelier, fondando scuole e movimenti, ormai patrimonio della storia dell'arte e della cultura.
L'incisione possiede modi di conduzione che vanno dai più lenti e meditativi (ad es. il bulino) in cui è necessario un lungo tirocinio di apprendimento, a metodi nei quali la velocità di esecuzione fa parte dell'opera stessa; nel Novecento, sono tanti i sistemi inediti adottati dagli artisti, alla luce dei quali potremmo dire che ogni artista potrebbe inventarsi una diversa e più appropriata maniera per esprimere al meglio la propria poetica.
Tuttavia, l'incisione cosiddetta di 'traduzione', che per secoli ha avuto il merito di divulgare le immagini della storia dell'uomo, con opere sacre, profane, divulgative, scientifiche, architettoniche, pittoriche, ecc., soppiantata dall'avvento della litografia e poi soprattutto della fotografia, ha contraddistinto, agli occhi di molti, la stampa d'arte, svuotandola però di quei contenuti straordinari di unicità e d'invenzione, già peraltro largamente evidenziati nei secoli dai grandi maestri come Dürer, Rembrandt, Canaletto, Tiepolo, Piranesi, Picasso, Hayter, e tanti altri, relegandola, anche a causa di ottusi pregiudizi ottocenteschi perduranti fino ai giorni nostri, a mera riproduzione, senza una propria progettualità e sensibilità.
Di fatto, da quando l'incisione si è emancipata dai vincoli della 'traduzione', ha liberato le energie creative degli artisti, rendendosi un linguaggio pienamente autonomo, in grado di esprimere, attraverso la manualità e una prassi legata ai valori di una sensibilità corporea e di una alta artigianalità, oggi ingiustamente emarginati, persino nelle Accademie d'Arte, il pensiero individuale, e una ricchezza di significati raramente espressi con altri linguaggi.
Incidere, oggi, nell'ambito di una società soggiogata dai nuovi sistemi tecnologici, non in grado di opporsi alla sempre più massificante manipolazione delle coscienze, assume quindi il valore di un gesto rivoluzionario, di una riconquista della creatività e dell'immaginazione che rompono gli schemi degli ordini precostituiti, attraverso l'operare in profondità con gli strumenti (punte, rotelle, sgorbie, acidi ecc,) sulle materie (legno, metallo, plastiche ecc.), per far fluire, attraverso una ritrovata manualità, il pensiero che diventa realtà tangibile. Un gesto che ci rende protagonisti di noi stessi, per progettare un futuro degno dell'uomo e riscoprire i veri valori comunicativi.
Ecco ciò che leggo nelle incisioni di Roberta Pancera, che esprime la propria personalità con rara sensibilità e una chiarezza d'immagini che scaturiscono da una tecnica sopraffina come la 'puntasecca su plexiglas', in cui ogni errore, ogni ripensamento permane sulla lastra, e per mezzo della quale, l'autrice si interroga su una umanità che cerca un senso al proprio esistere, i suoi personaggi si intersecano su piani e prospettive utopistiche , ma sempre alla ricerca di una unità e di una meta comune, nel tentativo di costruire un mondo ideale, per vincere insieme le difficoltà e il dolore. Per Lei, la punta d'acciaio che scava la dura materia, è essenzialmente un modo ancestrale per fermare il proprio tempo; l'arte incisoria non è un passatempo ma una estrema necessità di cercare la bellezza, che impegna profondamente lo spirito.
Una preziosa testimonianza da condividere. Vladimiro Elvieri 2021
Considerazioni sull'arte di Paolo Gubinelli
Paolo
Bolpagni
Portare sensatamente un contributo critico sull'opera di Paolo Gubinelli non è semplice, e per certi versi può apparire quasi temerario, considerando che hanno scritto di lui molti dei massimi esegeti dell'arte italiana contemporanea, da Lara-Vinca Masini a Giulio Carlo Argan, da Enrico Crispolti a Luciano Caramel, da Paolo Fossati a Giovanni Maria Accame, da Pierre Restany a Cesare Vivaldi, da Carlo Belloli a Fabrizio D'Amico, da Bruno Corà a Claudio Cerritelli, da Giorgio Cortenova a Tommaso Trini.
Insomma, Gubinelli è stato analizzato, posto nel giusto risalto, compreso e inserito a pieno titolo nell'alveo degli sviluppi delle arti visive aniconiche della seconda metà del XX secolo e poi dei primi due decenni del XXI. Uno degli esercizi tipici di chi voglia inquadrare l'attività e la vicenda creativa di un pittore consiste nel rinvenire ascendenze, individuare 'parentele' formali o espressive, inserirlo in una 'sequenza'. Si tratta di un'operazione necessaria e utile, perché consente con maggiore agevolezza il passaggio dalla critica alla storia. È più difficile, infatti, che gli isolati 'ossia coloro che sono classificabili a stento, che sfuggono o si sottraggono a un'indagine di questo tipo 'siano acquisiti dalla sintesi del racconto retrospettivo (così come, all'opposto, quelli che sono fin troppo amalgamati in una tendenza o in uno stile, quasi da confondersi con essi e smarrire la propria individualità). D'altro canto, nulla mi distoglierà mai dall'idea che, essendo l'individuo, nella sua unicità, irriducibile a qualsivoglia generalizzazione, in qualunque chiave e prospettiva essa sia (siamo tutti diversi, c'è poco da controbattere!), anche nell'àmbito artistico, pur nell'ovvia esigenza di stabilire linee di connessione e sviluppo, di ravvisare rapporti e scambi, di elaborare una 'tassonomia' entro la complessità fenomenologica delle manifestazioni espressive e formali, resti il problema della comprensione piena e autentica della personalità del singolo. Anzi, volendo portare alle estreme conseguenze il ragionamento, si potrebbe giungere alla conclusione che l'opera stessa sia un unicum, e che discettare sulla globale produzione di un artista, o anche soltanto su un ciclo o su una serie di lavori, rischi di non centrare l'obiettivo di una perfetta intellezione del suo quid più profondo e genuino.Gli interrogativi metodologici che mi rivolgo non sono certo originali: basterebbe por mente a Walter Benjamin e alle riflessioni sul concetto di 'critica' come 'completamento' dell'opera ed 'esperimento' su di essa, per ammutolire e riscoprirsi epigonali pensatori di pensieri già pensati. Tuttavia è pur vero che si tratta di domande non più così comuni, in una realtà di studi spesso appiattiti in maniera banale su questioni irrilevanti o secondarie, quasi sempre d'importazione statunitense (dalla dialettica fra modernismo e anti-modernismo ai gender studies), supinamente accolte da chi dovrebbe semmai attingere a ben altre radici e fonti di riflessione critica, europee e in special modo italiane e francesi, e da queste ripartire per lo sviluppo di un metodo sensato di analisi ed ermeneusi.
Mi si perdoni dunque l'inattualità di questa premessa teorica, che è sgorgata spontanea dalla meditazione sull'opera di Paolo Gubinelli, in particolare dei suoi lavori realizzati con tratti graffiti sulla carta mediante l'utilizzo di lame, con colori in polvere, con acquerelli, con piegature del supporto, con frottages, con scavi nel polistirolo, e inoltre dei rilievi su ceramica, su porcellana e su vetro, delle incisioni su plexiglas, fino alla dimensione dell'installazione ambientale. La varietà tipologica è ampia, ma non frastornante, perché consente di cogliere, allo sguardo di chi sia educato al saper vedere, una continuità di ricorrenze formali e di intenzionalità e forsanche attitudini psicologiche ad esse sottese (sulle quali, però, sarebbe arbitrario e un po' presuntuoso pronunciarsi).
A costruire il campo dell'immagine è il segno: un segno sottile e spesso irregolare, che ha trovato nella dinamica della scalfittura il proprio modo precipuo d'estrinsecarsi. Non lo ritengo emblema o metafora di una ferita, il che sarebbe troppo scontato, bensì di una ricerca di esprit de finesse, che si appalesa in una scrittura che è un personalissimo linguaggio, un sistema di forme simboliche da decodificare con pazienza ed esercizio. In questo lessico troviamo strutture di linee pressoché parallele, simili a frammenti di tetragrammi o pentagrammi (privi però di note: il riferimento alla grafia musicale sarebbe estrinseco), segmenti che si incrociano 'creando angoli ottusi e acuti 'in sequenze di reticolati, segni ondulati e curvi in dialettico dialogo con queste, diagonali o pseudo-diagonali, fasci di rette che attraversano l'intero campo visivo dell'opera, talvolta rastremate, raggruppamenti irregolari, punti singoli e autonomi o organizzati in successioni. In alcuni casi è la sola configurazione lineare a determinare la manifestazione fenomenica del lavoro di Gubinelli, in una monocromia bianca che in realtà è apparente, giacché i graffi e le incisioni provocano comunque chiaroscuri e quindi gradazioni di grigi, mostrando una sensibilità dell'artista per le facoltà insieme 'costruttive' e poetiche della luce. Là dove è impiegato il colore, la sua funzione è, per così dire, contrappuntistica rispetto al segno, alla stregua che, in una fuga, il controsoggetto, o meglio il divertimento, nell'accezione di transizione fra esposizioni e/o riesposizioni del tema. Ciò non significa certo che esso costituisca un dato esornativo o secondario; anzi, quando compare, diventa un fattore significante ed essenziale nell'economia dell'opera, nell'equilibrio degli elementi, arrivando addirittura a esserne il fulcro, il centro calamitante. Accade anche che sia utilizzato in chiave lirico-espressiva, evocativa, oppure, soprattutto nei rilievi in ceramica, associato a determinate forme geometriche.
Immancabilmente, quale che sia il trattamento delle componenti visive, nonché il ricorso ad alcune piuttosto che ad altre, in combinazioni anche assai variate, con evidente gusto del ritmo e della concinnitas, la sottigliezza di Paolo Gubinelli emerge come una qualità caratteristica di una maniera davvero personale di fare arte, che si colloca al di là e di fuori da tendenze precise, fermo restando l'ovvio presupposto della lezione degli astrattisti degli anni dai Dieci ai Trenta, di Lucio Fontana e degli Spazialisti.
(Botticino Sera, 3 gennaio 2019)
Direttore,
Fondazione Centro Studi Ragghianti, Lucca
Sabato 7 Agosto, alle ore 17.30, presso il Museo della Stampa di Soncino si
svolgerà l'inaugurazione della mostra intitolata Grafica ed illustrazione nell'editoria
italiana tra fine Ottocento ed inizio Novecento. L'idea è quella di
accompagnare il visitatore attraverso un
viaggio di riscoperta di quella parte dell'editoria contemporanea spesso
poco valorizzata, sebbene ricca dal punto di vista, non solo contenutistico, ma
anche artistico.
Le trenta opere sono accompagnate da brevi didascalie che permettono al visitatore di comprendere la finalità della mostra: procedere per un'analisi estetica dei libri, senza tralasciare alcuni importanti informazioni in merito alle case editrici che li hanno prodotti.
L'esposizione sarà visitabile presso il Museo della stampa di Soncino,
in via Lanfranco 6/8, dal 7 al 22 Agosto
negli orari di apertura: dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle 12.30, sabato
e domenica anche al pomeriggio dalle 14:30 alle 18 (aperture pomeridiane in
settimana su prenotazione al numero 0373/83171 o tramite mail a info@museostampasoncino.it).
Brescia, 14 maggio 2021. Come una partitura tra pensiero, poesia, elementi naturali, immagini, segno e sogno, Fuoriverso, poetry of fragility frammenti di un tempo sospeso, è l'universo narrativo della ricerca poetica di Maria Zanolli. Frammenti di poesie, parole, elementi della natura, i versi escono dalle pagine dei libri e dialogano con le visioni che li hanno ispirati. Il racconto poetico dell'autrice bresciana, da tempo impegnata in una ricerca tra natura, parola e immagine, arriva al Museo della stampa di Soncino dal 5 giugno al 4 luglio con un'esposizione che tenta di ricucire poeticamente i fili di questi tempi complessi. In mostra una trentina di lavori, poesie, incisioni calcografiche, cianotipie, collage di carta e stoffa immergono il lettore/spettatore in un viaggio in cui è possibile attraversare il tempo fragile e sospeso in cui viviamo e ricostruire una possibile mappa. Non è un caso che proprio la natura e la sua 'voce' sia l'origine e l'orizzonte di Fuoriverso: è il mondo a chiedercelo, a dirci che qualcosa si è rotto e che è necessario fare un passo indietro, se c'è ancora tempo, tornare laddove tutto nasce, altrimenti vivremo nel caos di un universo fluttuante e instabile.
All'inaugurazione - in programma per sabato 5 giugno alle 17.30 - ci sarà una lettura di poesie a cura dell'autricenaccompagnata dalle corde del Sarod, liuto indiano, suonato dal musicista bresciano Paolo Camisani. Paolo Camisani, Manerbio, 1980, musicista e compositore inizia lo studio musicale nel 1996 come chitarrista. Il suo percorso di crescita varia tra diversi generi e lo porta a studiare con importanti maestri tra cui il chitarrista Riccardo Zappa. La sua evoluzione continua, poi, nel 2012 con l'incontro del Sarod, liuto della tradizione classica indiana del nord Hindustan. Inizia così gli studi con il maestro Riccardo Battaglia con cui parte per l'India dove studia con il guru Pradeep Barot, importante esponente della Mahiar, uno degli stili di riferimento della tradizione classica indiana
BIOGRAFIA
Maria Zanolli, Brescia, 1981 è autrice, giornalista, ama la natura e il cammino. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione a Milano e la laurea specialistica in Giornalismo ed Editoria a Verona. Progetta e conduce laboratori di poesia per adulti e bambini e sperimenta l'incontro tra poesia e arte. È ideatrice dell'iniziativa Leggiamo Poesia, incontri di lettura condivisa per vivere insieme il piacere della poesia, e Cammino e Poesia. Sue poesie sono pubblicate su riviste e antologie di riferimento della poesia italiana. La Misura del vuoto, L'Erudita 2020, è il suo ultimo libro. È volontaria dell'associazione Equipark dove si occupa della cura degli asini e organizza iniziative intorno alla natura e al trekking. Sta frequentando un corso di formazione per diventare Guida Ambientale naturalistica Escursionistica.