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Mostre Conclusi

ROBERTA PANCERA

Mostra di incisioni

ROBERTA PANCERA

Nata a Brescia nel 1971, vive e lavora a Pavone del Mella (Bs).

Dopo il diploma conseguito al Liceo Artistico 'B. Bembo' di Cremona, prosegue gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano conseguendo la laurea nel 1993. L'anno successivo si aggiudica una Borsa di studio estiva promossa dall'Accademia d'Ungheria di Roma a Eger in Ungheria, sul tema'Monument living houses' .

Negli anni 2004/2005 è stata allieva del Maestro Incisore Vladimiro Elvieri e da questo incontro sperimenta l'uso di nuove tecniche e nuovi materiali.  Nascono lavori d'incisione nei quali prediligerà l'utilizzo della puntasecca su lastra di plexiglass.

Spaziando tra le diverse tecniche pittoriche, nel corso degli anni è stata chiamata a realizzare opere murali in spazi pubblici e privati, eseguiti con la tecnica ad affresco e a graffito, nei comuni di Ragoli (TN), Strembo (TN), Pinzolo (TN), Mortaso (TN), Campi di Riva del Garda (TN), Manerbio (BS), Pavone del Mella (BS), S.Gervasio Bresciano (BS), Bassano Bresciano (BS), Sommo (PV).

Dagli anni '90 ad oggi ha partecipato a numerose esposizioni collettive, a biennali d'incisione e a diversi concorsi in Italia ed all'estero, aggiudicandosi premi e segnalazioni per le sue opere, oltre ad aver fatto diverse mostre personali sul territorio nazionale.

Attualmente concilia il lavoro d'artista con l'insegnamento di Arte e Immagine presso l'Istituto Comprensivo di Pralboino (Bs).

Vladimiro Elvieri 'Maestro Incisore

Per secoli, il linguaggio dell'Incisione ha costituito la base per ogni sviluppo artistico, ha accompagnato le vicende storiche, e spesso anticipato temi e contenuti, grazie alla sua capacità di diffusione nei più ampi strati della popolazione. Parimenti, anche la ricerca tecnica si è evoluta nei secoli, e dopo la prima stagione della xilografia su legno, si è giunti, con l'invenzione del torchio calcografico, al periodo d'oro della tecnica a bulino, dalla seconda metà del Quattrocento alla metà del secolo successivo, passando poi alla tecnica dell'acquaforte, e cioè alla pratica dell'acidatura, a tutt'oggi la più diffusa tra gli incisori, e ad altri metodi calcografici diretti e indiretti, che hanno ampliato le possibilità espressive del mezzo incisorio, approdando, nel XX secolo, a una straordinaria fioritura di nuove esperienze, condotte soprattutto nei grandi atelier, fondando scuole e movimenti, ormai patrimonio della storia dell'arte e della cultura.

L'incisione possiede modi di conduzione che vanno dai più lenti e meditativi (ad es. il bulino) in cui è necessario un lungo tirocinio di apprendimento, a metodi nei quali la velocità di esecuzione fa parte dell'opera stessa; nel Novecento, sono tanti i sistemi inediti adottati dagli artisti, alla luce dei quali potremmo dire che ogni artista potrebbe inventarsi una diversa e più appropriata maniera per esprimere al meglio la propria poetica.

Tuttavia, l'incisione cosiddetta di 'traduzione', che per secoli ha avuto il merito di divulgare le immagini della storia dell'uomo, con opere sacre, profane, divulgative, scientifiche, architettoniche, pittoriche, ecc., soppiantata dall'avvento della litografia e poi soprattutto della fotografia, ha contraddistinto, agli occhi di molti, la stampa d'arte, svuotandola però di quei contenuti straordinari di unicità e d'invenzione, già peraltro largamente evidenziati nei secoli dai grandi maestri come Dürer, Rembrandt, Canaletto, Tiepolo, Piranesi, Picasso, Hayter, e tanti altri, relegandola, anche a causa di ottusi pregiudizi ottocenteschi perduranti fino ai giorni nostri, a mera riproduzione, senza una propria progettualità e sensibilità.

Di fatto, da quando l'incisione si è emancipata dai vincoli della 'traduzione', ha liberato le energie creative degli artisti, rendendosi un linguaggio pienamente autonomo, in grado di esprimere, attraverso la manualità e una prassi legata ai valori di una sensibilità corporea e di una alta artigianalità, oggi ingiustamente emarginati, persino nelle Accademie d'Arte, il pensiero individuale, e una ricchezza di significati raramente espressi con altri linguaggi.  

Incidere, oggi, nell'ambito di una società soggiogata dai nuovi sistemi tecnologici, non  in grado di opporsi alla sempre più massificante manipolazione delle coscienze, assume quindi il valore di un gesto rivoluzionario, di una riconquista della creatività e dell'immaginazione che rompono gli schemi degli ordini precostituiti, attraverso l'operare in profondità con gli strumenti (punte, rotelle, sgorbie, acidi ecc,) sulle materie (legno, metallo, plastiche ecc.), per far fluire, attraverso una ritrovata manualità, il pensiero che diventa realtà tangibile. Un gesto che ci rende protagonisti di noi stessi, per progettare un futuro degno dell'uomo e riscoprire i veri valori comunicativi.

Ecco ciò che leggo nelle incisioni di Roberta Pancera, che esprime la propria personalità con rara sensibilità e una chiarezza d'immagini che scaturiscono da una tecnica sopraffina come la 'puntasecca su plexiglas', in cui ogni errore, ogni ripensamento permane sulla lastra, e per mezzo della quale, l'autrice si interroga su una umanità che cerca un senso al proprio esistere, i suoi personaggi si intersecano su piani e prospettive utopistiche , ma sempre alla ricerca di una unità e di una meta comune, nel tentativo di costruire un mondo ideale, per vincere insieme le difficoltà e il dolore. Per Lei, la punta d'acciaio che scava la dura materia, è essenzialmente un modo ancestrale per fermare il proprio tempo; l'arte incisoria non è un passatempo ma una estrema necessità di cercare la bellezza, che impegna profondamente lo spirito. 

Una preziosa testimonianza da condividere.                                                                           Vladimiro Elvieri 2021   


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OPERE SU CARTA di Paolo Gubinelli

Omaggio a Piero Manzoni

Considerazioni sull'arte di Paolo Gubinelli 

Paolo Bolpagni

 Portare sensatamente un contributo critico sull'opera di Paolo Gubinelli non è semplice, e per certi versi può apparire quasi temerario, considerando che hanno scritto di lui molti dei massimi esegeti dell'arte italiana contemporanea, da Lara-Vinca Masini a Giulio Carlo Argan, da Enrico Crispolti a Luciano Caramel, da Paolo Fossati a Giovanni Maria Accame, da Pierre Restany a Cesare Vivaldi, da Carlo Belloli a Fabrizio D'Amico, da Bruno Corà a Claudio Cerritelli, da Giorgio Cortenova a Tommaso Trini.

Insomma, Gubinelli è stato analizzato, posto nel giusto risalto, compreso e inserito a pieno titolo nell'alveo degli sviluppi delle arti visive aniconiche della seconda metà del XX secolo e poi dei primi due decenni del XXI. Uno degli esercizi tipici di chi voglia inquadrare l'attività e la vicenda creativa di un pittore consiste nel rinvenire ascendenze, individuare 'parentele' formali o espressive, inserirlo in una 'sequenza'. Si tratta di un'operazione necessaria e utile, perché consente con maggiore agevolezza il passaggio dalla critica alla storia. È più difficile, infatti, che gli isolati 'ossia coloro che sono classificabili a stento, che sfuggono o si sottraggono a un'indagine di questo tipo 'siano acquisiti dalla sintesi del racconto retrospettivo (così come, all'opposto, quelli che sono fin troppo amalgamati in una tendenza o in uno stile, quasi da confondersi con essi e smarrire la propria individualità). D'altro canto, nulla mi distoglierà mai dall'idea che, essendo l'individuo, nella sua unicità, irriducibile a qualsivoglia generalizzazione, in qualunque chiave e prospettiva essa sia (siamo tutti diversi, c'è poco da controbattere!), anche nell'àmbito artistico, pur nell'ovvia esigenza di stabilire linee di connessione e sviluppo, di ravvisare rapporti e scambi, di elaborare una 'tassonomia' entro la complessità fenomenologica delle manifestazioni espressive e formali, resti il problema della comprensione piena e autentica della personalità del singolo. Anzi, volendo portare alle estreme conseguenze il ragionamento, si potrebbe giungere alla conclusione che l'opera stessa sia un unicum, e che discettare sulla globale produzione di un artista, o anche soltanto su un ciclo o su una serie di lavori, rischi di non centrare l'obiettivo di una perfetta intellezione del suo quid più profondo e genuino.Gli interrogativi metodologici che mi rivolgo non sono certo originali: basterebbe por mente a Walter Benjamin e alle riflessioni sul concetto di 'critica' come 'completamento' dell'opera ed 'esperimento' su di essa, per ammutolire e riscoprirsi epigonali pensatori di pensieri già pensati. Tuttavia è pur vero che si tratta di domande non più così comuni, in una realtà di studi spesso appiattiti in maniera banale su questioni irrilevanti o secondarie, quasi sempre d'importazione statunitense (dalla dialettica fra modernismo e anti-modernismo ai gender studies), supinamente accolte da chi dovrebbe semmai attingere a ben altre radici e fonti di riflessione critica, europee e in special modo italiane e francesi, e da queste ripartire per lo sviluppo di un metodo sensato di analisi ed ermeneusi. 

Mi si perdoni dunque l'inattualità di questa premessa teorica, che è sgorgata spontanea dalla meditazione sull'opera di Paolo Gubinelli, in particolare dei suoi lavori realizzati con tratti graffiti sulla carta mediante l'utilizzo di lame, con colori in polvere, con acquerelli, con piegature del supporto, con frottages, con scavi nel polistirolo, e inoltre dei rilievi su ceramica, su porcellana e su vetro, delle incisioni su plexiglas, fino alla dimensione dell'installazione ambientale. La varietà tipologica è ampia, ma non frastornante, perché consente di cogliere, allo sguardo di chi sia educato al saper vedere, una continuità di ricorrenze formali e di intenzionalità e forsanche attitudini psicologiche ad esse sottese (sulle quali, però, sarebbe arbitrario e un po' presuntuoso pronunciarsi). 

A costruire il campo dell'immagine è il segno: un segno sottile e spesso irregolare, che ha trovato nella dinamica della scalfittura il proprio modo precipuo d'estrinsecarsi. Non lo ritengo emblema o metafora di una ferita, il che sarebbe troppo scontato, bensì di una ricerca di esprit de finesse, che si appalesa in una scrittura che è un personalissimo linguaggio, un sistema di forme simboliche da decodificare con pazienza ed esercizio. In questo lessico troviamo strutture di linee pressoché parallele, simili a frammenti di tetragrammi o pentagrammi (privi però di note: il riferimento alla grafia musicale sarebbe estrinseco), segmenti che si incrociano 'creando angoli ottusi e acuti 'in sequenze di reticolati, segni ondulati e curvi in dialettico dialogo con queste, diagonali o pseudo-diagonali, fasci di rette che attraversano l'intero campo visivo dell'opera, talvolta rastremate, raggruppamenti irregolari, punti singoli e autonomi o organizzati in successioni. In alcuni casi è la sola configurazione lineare a determinare la manifestazione fenomenica del lavoro di Gubinelli, in una monocromia bianca che in realtà è apparente, giacché i graffi e le incisioni provocano comunque chiaroscuri e quindi gradazioni di grigi, mostrando una sensibilità dell'artista per le facoltà insieme 'costruttive' e poetiche della luce. Là dove è impiegato il colore, la sua funzione è, per così dire, contrappuntistica rispetto al segno, alla stregua che, in una fuga, il controsoggetto, o meglio il divertimento, nell'accezione di transizione fra esposizioni e/o riesposizioni del tema. Ciò non significa certo che esso costituisca un dato esornativo o secondario; anzi, quando compare, diventa un fattore significante ed essenziale nell'economia dell'opera, nell'equilibrio degli elementi, arrivando addirittura a esserne il fulcro, il centro calamitante. Accade anche che sia utilizzato in chiave lirico-espressiva, evocativa, oppure, soprattutto nei rilievi in ceramica, associato a determinate forme geometriche. 

Immancabilmente, quale che sia il trattamento delle componenti visive, nonché il ricorso ad alcune piuttosto che ad altre, in combinazioni anche assai variate, con evidente gusto del ritmo e della concinnitas, la sottigliezza di Paolo Gubinelli emerge come una qualità caratteristica di una maniera davvero personale di fare arte, che si colloca al di là e di fuori da tendenze precise, fermo restando l'ovvio presupposto della lezione degli astrattisti degli anni dai Dieci ai Trenta, di Lucio Fontana e degli Spazialisti. 

(Botticino Sera, 3 gennaio 2019) 

Direttore, Fondazione Centro Studi Ragghianti, Lucca

 


MANUELA BEDESCHI

Scripta Manent

Stay tuned: a Soncino, le immagini, le opere luminose, le vetrate squillanti di accensioni cromatiche - nell'antica torre che ospita il Museo della stampa/centro studi stampatori ebrei - portano in alto. Ogni step, ogni sguardo, ogni opera diventa indicazione perfetta per ascendere a una dimensione onirica. Di piano in piano i gradini dell'antico torrione si trasformano in una vera scala verso il cielo: il sogno diventa così la chiave di lettura di un intervento artistico in cui ogni senso può essere svelato e tutto può essere guardato, pensato e ascoltato. È come se si aprisse una porta magica che permette di riflettere, analizzare, capire, e continuare a scoprire l'infinita strada da percorrere. Stay Tuned: questa mostra specialissima richiede dunque un'attività immaginativa supplementare: le opere trasformano l'intero contesto in un viaggio fatto di scoperte capaci di far uscire dalla realtà, perché agli sguardi del visitatore, tra continui interrogativi, tutto si propone come uno stimolo alla fantasia e alla curiosità. Stay Tuned. I neon accesi di colori saturi, di parole incastonate negli antichi spazi del Museo rendono tangibile qualcosa che, per definizione, senza supporto e materializzazione, resterebbe labile e volatile: il linguaggio verbale, col suo bagaglio lessicale, necessita infatti della parola scritta. A tutto ciò rimanda una sorta di truism luminoso (per dirlo alla maniera di Jenny Holzer) che recita Scripta manent. Appunto. Stay Tuned: Manuela Bedeschi ha collocato dunque i suoi neon all'interno delle finestre dell'antica casa torre del secondo quattrocento, appartenuta ai Soncino, e li ha resi due volte leggibili: dall'interno e dall'esterno. Le opere sono scritte al neon, con parole da vecchi esistenzialisti post concettuali: vola, sogna, segno' Guarda, pensa, ascolta: la prima sala del museo, accanto all'antico torchio ligneo, presenta operazioni ispirate, che rimandano ad esplorazioni in anfratti espressivi, scandagliati con una caparbietà estetica che ancora produce effetti fecondi nei loro riverberi di luce e di senso. Bellezza delle parole, reminiscenza di un'operazione che rimanda a Colui che, quando volle creare il mondo, guardò la Torah, parola per parola: e il mondo fu. E dunque ecco che «in principio era la parola»: perché la parola, di per sé, crea, stupisce, muove, ed è energia di trasformazione e cambiamento. Le opere/moniti di Manuela sono infatti consigli per un'etica dell'amore del pianeta e del prossimo. Imperativi per un'arte che chiede ai materiali raggianti e radiosi, dunque a materiali estranei alla tradizione - ma comuni a una pratica del contemporaneo che da Lucio Fontana porta a Bruce Nauman (e solo per fare due nomi) - di tramutarsi in fonte di meraviglia e di emozionante stupore, grazie anche a un lessico essenziale e affascinante come quello suggerito da Panta rei. Le scatole luminose creano dunque strutture sceniche che si muovono sulle vibrazioni luministiche del materiale di partenza, il neon, che, nei suoi riflessi, offre alle parole una consistenza fluida e fluttuante, capace qui di comunicare più della carta. Le vetrate, fatte di carte veline colorate, si accendono invece, al secondo piano della dimora dei Soncino, grazie alla luce che filtra dalle finestre, come accadeva (e accade) nelle vetrate gotiche. Entrano qui in gioco un'installazione e una strutturazione dello spazio che trovano nella carta il necessario e dovuto confronto/omaggio alla tradizione del museo della stampa. Sfilano davanti a noi note speciali di una messa in scena in cui la sensibilità femminile supera la razionalità dello spazio e della tecnica per addentrarsi negli orizzonti della poesia. Il museo dunque si è ora trasformato in un ambiente onirico, abitato da presenze e frequenze elettromagnetiche guizzanti: ci si muove in una sorta di acquario vivente, abitato da lunghezze d'onda danzanti. Stay tuned. Si procede ancora. E alla fine, in un buio corridoio, le scatole luminose della Bedeschi si accendono di una esplosiva sostanza eversiva: deflagrano nella struttura museale. La loro luce e la capacità di appropriarsi e trasformare lo spazio creano forze, di volta in volta, centripete e centrifughe, che, nella loro instabilità, delineano il destino stesso delle forme, la loro vitalità, la loro imprevedibilità, il fascino di un messaggio intrecciato di senso e di bellezza. Lo scintillio vibratile dei riflessi dei neon dematerializza le pareti e dà forma alla materia dei sogni: materia biblica per eccellenza. Lampeggia, dappertutto, una risacca di parole che sanno di avvertimento, di necessità di 'riparazione del mondo'. Paura, tensione, desiderio, sono affidate a messaggi di luce, diventano un memento mori che trova, nella materia della contemporaneità, un raro e raffinato strumento di meditazione, dove all'armonica interrelazione col museo è affidata una dimensione da intervento site-specific. Testo di Gianfranco Ferlisi

CASTELLI FANTASMI LEGGENDIE

Salvatore Attanasio

'Castelli, Fantasmi, Leggende' non una mostra ma un ciclo di mostre programmate con un dettagliato Progetto presentato all'interno del sito www.castelli-fantasmi-leggende.it insieme alle immagini dei castelli, date degli eventi e tutte le info a riguardo. Il Progetto iniziato nel settembre 2019 continua dunque il suo percorso. Dopo le mostre nei castelli di Padernello e di Gorzone, è la volta della mostra-evento dal 28 agosto a Soncino, nel Museo della Stampa. Il Progetto proseguirà fino al 2023, anno in cui l'evento sarà ospitato a Brescia e Bergamo nel programma degli Eventi per Brescia e Bergamo Capitali della Cultura. LA MOSTRA: DESCRIZIONE Inizialmente solo la mostra inaugurale del ciclo, quella di Padernello, era prevista come mostra dedicata ad un solo Castello. Dall'Evento di Soncino invece le fotografie illustreranno fatti e storie tratti dalle leggende di più Castelli. Ecco che i visitatori potranno emozionarsi davanti alle immagini ispirate da storie o leggende diverse. Per ora rivivremo le vicende di Padernello e Gorzone di cui alcune immagini sono ospitate nella 'Sala delle Stampe'. Scopriremo invece le inedite immagini che si ispirano alla 'Leggenda delle due Torri', la delicatissima dolce struggente storia ambientata intorno alla Rocca di Soncino, che Anna Martinenghi ha concepito, proposte nella 'Sala del Torchio a Stella'. Per meglio comprendere la lettura delle immagini di quest'ultima leggenda si consiglia di leggere la 'Leggenda delle Due Torri' al link www.castelli-fantasmi-leggende.it/soncino_la_leggenda_delle_due_torri.html Le stampe, in grande formato, realizzate con tecnica fineart in rigoroso bianconero, esposte in cornici retroilluminate, racconteranno ai visitatori la triste storia di Nives e Valente, complice e testimone la Rocca di Soncino. INFO & RIFERIMENTI Inaugurazione sabato 28 agosto 2021 alle ore 17, Museo della Stampa, via Lanfranco, 6. Chiusura domenica 19 settembre 2021. aperto da martedì a venerdì dalle 10.00 alle 12.30 sabato e festivi dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.00. Info alle mail: info@museostampasoncino.it - info@prolocosoncino.it Info e prenotazioni: 0374.83.171 - 0374.84.883

ROSSINI VALERIA

Grafica ed illustrazione nell’editoria italiana tra fine Ottocento ed inizio Novecento

Sabato 7 Agosto, alle ore 17.30, presso il Museo della Stampa di Soncino si svolgerà l'inaugurazione della mostra intitolata Grafica ed illustrazione nell'editoria italiana tra fine Ottocento ed inizio Novecento. L'idea è quella di accompagnare il visitatore attraverso un viaggio di riscoperta di quella parte dell'editoria contemporanea spesso poco valorizzata, sebbene ricca dal punto di vista, non solo contenutistico, ma anche artistico.

 La mostra, curata dalla Dott.ssa Valeria Rossini, responsabile del patrimonio librario, e da Giuseppe Cavalli, consigliere della Pro Loco con delega al museo, nasce dal salvataggio e recupero di materiale librario di vario genere. Essa si inserisce nel progetto culturale portato avanti dal Museo della Stampa di Soncino da oltre trent'anni: valorizzare e promuovere l'arte tipografica, dalla sua invenzione, a metà XV secolo, arrivando quasi ai nostri giorni, con particolare attenzione ai tipografi ebrei Soncino ed agli incunabuli e cinquecentine da loro prodotte. In questo caso viene affrontato un periodo storico non troppo lontano da noi, ma che, per le tecniche e la grafica utilizzata, ci riporta alla cura del dettaglio ed all'illustrazione dei tempi antichi.

 Nella mostra sono presentati quasi tutti i generi editoriali del periodo, dalle opere di maggior valore economico ed artistico alle collane più popolari. Attraverso le incisioni di Gustave Doré e del suo amico/rivale Yan' Dargent (Jean-Édouard Dargent) ci si immerge nel fortunato filone editoriale dei grandi libri illustrati, che hanno abbellito le librerie delle famiglie più abbienti a cavallo dei due secoli; si passa poi alle collane dai prezzi contenuti, sebbene con copertine curate, tra cui quelle della prolifica casa editrice Sonzogno, ed ai testi scientifici. Una sezione a parte è, infine, dedicata all'editoria musicale, dominata quasi esclusivamente dalla Ricordi, con una prevalenza di libretti e spartiti di opere liriche, assai in voga all'epoca, anche tra le classi popolari.

Le trenta opere sono accompagnate da brevi didascalie che permettono al visitatore di comprendere la finalità della mostra: procedere per un'analisi estetica dei libri, senza tralasciare alcuni importanti informazioni in merito alle case editrici che li hanno prodotti.

L'esposizione sarà visitabile presso il Museo della stampa di Soncino, in via Lanfranco 6/8, dal 7 al 22 Agosto negli orari di apertura: dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle 12.30, sabato e domenica anche al pomeriggio dalle 14:30 alle 18 (aperture pomeridiane in settimana su prenotazione al numero 0373/83171 o tramite mail a info@museostampasoncino.it).


MARIA ZANOLLI

Mostra di incisioni

Brescia, 14 maggio 2021. Come una partitura tra pensiero, poesia, elementi naturali, immagini, segno e sogno, Fuoriverso, poetry of fragility frammenti di un tempo sospeso, è l'universo narrativo della ricerca poetica di Maria Zanolli. Frammenti di poesie, parole, elementi della natura, i versi escono dalle pagine dei libri e dialogano con le visioni che li hanno ispirati. Il racconto poetico dell'autrice bresciana, da tempo impegnata in una ricerca tra natura, parola e immagine, arriva al Museo della stampa di Soncino dal 5 giugno al 4 luglio con un'esposizione che tenta di ricucire poeticamente i fili di questi tempi complessi. In mostra una trentina di lavori, poesie, incisioni calcografiche, cianotipie, collage di carta e stoffa immergono il lettore/spettatore in un viaggio in cui è possibile attraversare il tempo fragile e sospeso in cui viviamo e ricostruire una possibile mappa. Non è un caso che proprio la natura e la sua 'voce' sia l'origine e l'orizzonte di Fuoriverso: è il mondo a chiedercelo, a dirci che qualcosa si è rotto e che è necessario fare un passo indietro, se c'è ancora tempo, tornare laddove tutto nasce, altrimenti vivremo nel caos di un universo fluttuante e instabile.

All'inaugurazione - in programma per sabato 5 giugno alle 17.30 - ci sarà una lettura di poesie a cura dell'autricenaccompagnata dalle corde del Sarod, liuto indiano, suonato dal musicista bresciano Paolo Camisani. Paolo Camisani, Manerbio, 1980, musicista e compositore inizia lo studio musicale nel 1996 come chitarrista. Il suo percorso di crescita varia tra diversi generi e lo porta a studiare con importanti maestri tra cui il chitarrista Riccardo Zappa. La sua evoluzione continua, poi, nel 2012 con l'incontro del Sarod, liuto della tradizione classica indiana del nord Hindustan. Inizia così gli studi con il maestro Riccardo Battaglia con cui parte per l'India dove studia con il guru Pradeep Barot, importante esponente della Mahiar, uno degli stili di riferimento della tradizione classica indiana

BIOGRAFIA

Maria Zanolli, Brescia, 1981 è autrice, giornalista, ama la natura e il cammino. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione a Milano e la laurea specialistica in Giornalismo ed Editoria a Verona. Progetta e conduce laboratori di poesia per adulti e bambini e sperimenta l'incontro tra poesia e arte. È ideatrice dell'iniziativa Leggiamo Poesia, incontri di lettura condivisa per vivere insieme il piacere della poesia, e Cammino e Poesia. Sue poesie sono pubblicate su riviste e antologie di riferimento della poesia italiana. La Misura del vuoto, L'Erudita 2020, è il suo ultimo libro. È volontaria dell'associazione Equipark dove si occupa della cura degli asini e organizza iniziative intorno alla natura e al trekking. Sta frequentando un corso di formazione per diventare Guida Ambientale naturalistica Escursionistica.

www.mariazanilli.com


ISOLE

Mostra di Luciano Pea

L'artista Luciano Pea si è formato all 'Accademia di Belle Arti di Brera. Docente di incisione e tecniche pittoriche alla Libera Accademia di Belle Arti (L.A.B.A) di Brescia. Attivo con esposizioni in ambito nazionale dalla fine degli anni '80. Ha partecipato a esposizioni e manifestazioni internazionali, fornisce contributi artistici per eventi culturali. Numerose pubblicazioni di opere su cataloghi e libri d'arte. Nasce a Gottolengo (Bs) il 31.03.1961, vive a Brescia in via F. Carini, 4, con studio via Agostino Gallo 5.

Spettri

Mostra d'Incisione

La Mostra continua fino al 5 Aprile 2021

INAUGURAZIONE in Diretta Facebook Sabato 10 Ottobre ore 18

FEDERICA FRATI
Segni tracciati che viaggiano da una superficie all'altra restando immutati, eppure cambiando continuamente.
Foglie che volano, traslano, passano da uno stato all'altro, sempre diverse si rivelano nella loro pienezza.
Sono superfici mobili, immobili, uguali, diverse.
Raccontano di sé e di ogni altra cosa.

GIOVANNI ARICI
I suoi segni bianchi e segni neri sono presenze oniriche, fantasmagoriche, ghiacci spettri.
Arici traccia e incide presenze-assenze. Radici: radici di sogni colte dall'occhio, scolpite dalla mano, gelate nelle incisioni e nei disegni.
Capricci di segni, labirinti, ceselli, infatuazioni luminose, tempeste di neri, venti pallidi di maestrale, navi sole per sempre in mare, relitti vividi dello sguardo, spettri.


MANO LIBERA E PENSIERI SCIOLTI

MOSTRA PERSONALE DI TIZIANO BELLOMI

A cura di Gianfranco Ferlisi
Funzionario  Storico dell' Arte
Ministero  per  i Beni e le Attività Culturali
Gallerie  Estensi - Modena

La Solitudine dell'artista nell'età dell'indifferenza

Da Domenica 28 Giugno a Domenica 30 Agosto 2020

I mesi drammatici che abbiamo alle spalle ci hanno costretto a rivedere non solo i nostri comportamenti, ma anche le nostre gerarchie di valore e di importanza. I musei e le gallerie chiusi per tante settimane hanno quasi obbligato chi fa arte e chi ama vederla a farsi molte domande, a chiedersi se non sia tempo di fermarsi su quella china precipitosa che stava portandoci a credere che qualunque cosa sia arte.

Il vedere ogni giorno con tragica evidenza quanto la vita umana sia separata dalla morte da un sottilissimo diaframma non può non averci posto dinnanzi agli occhi il dubbio se abbia senso continuare a fingere che l'arte sia uno scherzo, un esperimento senza adesione profonda, un trastullo per ricchi. Ed è per onorare un'accezione dell'arte umanistica, intimistica e non ossessionata dalle mode e dal loro incessante consumarsi che il Museo della Stampa ospita la mostra La solitudine dell'artista nell'età dell'indifferenza.

Si tratta di un ciclo di sette incisioni, ciascuna corredata di un ricco pannello esplicativo, che affrontano con malinconia e con gaiezza, con una inconsueta classicità tutta deformata dall'impeto moderno, il discredito sociale nel quale da decenni è caduto chi fa arte senza finalità ludica o monetaria, secondo una vocazione sentita e difficoltosa. Vi è satira, sì, ma vi è anche serena ricerca di una verità possibile, in queste sette opere legate l'una all'altra da una sottilissima fede nell'atto creativo, e all'interno delle piccole sale del Museo della Stampa, intrise di una secolare vicenda di tenacia, bellezza, serietà e cultura, esse paiono suggerire una continuità con quello spirito antico e una discontinuità con l'epoca di nichilismo e vacuità del nostro recente passato.

A dare segno visibile a questa fede in un'arte silenziosa e sofferta sono le incisioni di una delle figure meno gridate e più eterodosse della grafica nazionale: Karl Evver.

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